Un breve stralcio di una bella intervista al grande ex commissario tecnico (I novant'anni di Alfredo Martini, di Gianni Mura - La Repubblica).
Martini partecipa alla Resistenza col gruppo del comandante Aligi, già tenente dell'esercito, attivo sul monte Porello e nel '47 sposa Elda. Ma al padre di lei, come si usava, si era già presentato nel '43. "Non scorderò mai quello che mi disse: noi non abbiamo nulla, abbiamo solo la dignità, alla quale teniamo molto. Lei si regoli di conseguenza". E lui si regolò di conseguenza, come sempre, perché la dignità gli ha sempre tenuto compagnia. Volete sentirlo parlare di doping? "Il doping ti toglie la dignità, è un gesto di vigliaccheria. Si possono guadagnare tanti soldi, ma sporchi, e poi si pagano con gli interessi. Lo pensavo già ai miei tempi, quando giravano simpamina e stenamina. Davano uno e toglievano due, nel senso che un pochino più forte andavi, ma ti passava l'appetito e non dormivi. E allora bisogna allenarsi bene, saper soffrire, voler soffrire. Sono felice di aver scelto il ciclismo, con la sofferenza che comporta, ma non è che i miei compagni alla catena di montaggio soffrissero di meno. Noi giravamo l'Italia, l'Europa, vedevamo posti, conoscevamo persone. Mi reputo un fortunato. Da corridore andavo a letto alle 9 di sera, già le 10 erano un mezzo stravizio, ma nel ciclismo solo la condizione atletica ti tiene a galla, non è come il calcio dove un fuoriclasse con due tocchi può risolvere la partita. Nel ciclismo se non hai gambe perdi le ruote del gruppo. Più del sangue arricchito, servono un corpo sano e una mente fresca".
Gli spagnoli lo definirebbero un hombre vertical, gli inglesi un gentleman, i francesi un grand seigneur. Gli italiani possono scegliere. Uno che ha vissuto con la schiena dritta, una bella persona. Lo definirei un uomo-borraccia, uno che quando serve c'è ed è bello sapere che ci sia.
la dignità....grande cosa.
RispondiEliminaConcetto che oggi appare un poco smarrito.
Ma grazie a persone come Alfredo si può provare ancora a misurarla.